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Situazione economica in Spagna dal 2008 al 2012



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Il boom economico dopo il franchismo

Dopo la fine della lunga dittatura franchista e in particolar modo a partire dall'entrata nell'allora CEE nel 1986, la Spagna ha avuto una fase di crescita economica vertiginosa per tutti gli anni '90 e nella prima parte di inizio secolo. Scambi commerciali con l'estero, incremento della produzione di beni in seguito a forti investimenti, turismo in crescita e capitali stranieri attratti anche da un costo relativamente basso della manodopera, oltre ad un aumento delle entrate pubbliche ed un utilizzo attento dei fondi europei. In virtù di tutto ciò, i tassi di crescita si mantenevano sempre al di sopra della media europea e la disoccupazione era in costante calo, arrivando dal 22% all'8%.

La crisi e la bolla immobiliare

Crisi economica spagnolaNel 2008 l'esplosione della crisi economica a livello mondiale ha però rivelato la fragilità di questo Paese, che ha accusato il colpo più di molti altri. Tutto ciò perché la sua economia non poggiava su solide basi produttive create nei decenni, oltre che a causa del forte sbilanciamento sul settore terziario (oltre il 60% delle aziende: turismo, trasporti, commercio, telecomunicazioni, servizi finanziari e assicurativi), che ha risentito in particolar modo della crisi.

Dopo 15 anni il PIL a fine 2008 si contrae e, nel febbraio successivo, la Spagna (così come Grecia, Irlanda e Portogallo) entra ufficialmente in recessione.

L'edilizia, che negli anni del boom aveva avuto un ruolo di primaria importanza nel trainare l'economia iberica, durante la crisi vede una vera e propria paralisi. Prezzi al metro quadro in caduta ed enorme difficoltà nella vendita degli immobili (si parla di mezzo milione di case finite ed invendute). La crisi ha influito anche sul turismo, che comunque non tracolla a causa dei prezzi competitivi rispetto alla media europea. Si assiste inoltre ad una crescita esponenziale della spesa sociale.

L'ex primo ministro Zapatero è stato accusato di aver puntato troppo sul settore edile per cercare di contrastare la crisi, finanziando moltissime opere pubbliche non tutte effettivamente necessarie (parchi, strade, aiuole), permettendo sì alle imprese edili di andare avanti, ma senza produrre effettiva ricchezza né lavoro in chiave futura. Inoltre, il premier ha cercato di smentire fino all'ultimo la gravità della situazione economica, parlando sempre di un rallentamento transitorio, finché dopo il crollo del consenso popolare è stato costretto a dimettersi 6 mesi prima del suo mandato, con il conseguente trionfo senza precedenti del Partido Popular alle elezioni anticipate del novembre 2011.

Nel 2012 la crisi finanziaria e la bolla immobiliare di cui sopra mettono in ginocchio le banche ed il Governo di Rajoy è costretto a rivolgersi al fondo salva stati della UE per ricapitalizzare le banche iberiche.

La disoccupazione arriva a livelli stellari, intorno al 25%, e quella giovanile (relativa ai giovani sotto i 25 anni di età) supera il 50%, segnali evidenti di un'economia in recessione così come la fuga di capitali all'estero e l'aumento costante dei tassi di interesse dei titoli di stato fino al 7%  e quindi dello spread in costante crescita rispetto ai Bund tedeschi.

I rimedi adottati per limitare i danni e cercare una risalita: tagli e tasse

Per combattere questo trend, il Governo nel luglio 2012 opera numerosi ed importanti tagli: soppressione immediata delle tredicesime per i lavoratori statali oltre a riduzione delle ferie, tagli ai sussidi di disoccupazione ed alle pensioni, aumento dell'IVA dal 18 al 21%. Le proteste popolari di fronte a queste misure sono ingenti, anche perché le persone si ribellano all'idea di dover pagare per rimediare ai crac di istituti finanziari generati dalle imprese immobiliari e dai loro crediti. Lo Stato non ha i mezzi per rimediare a questo deficit e di conseguenza cerca di ridurre le spese ed aumentare il carico fiscale sui cittadini.

Agli occhi del mondo una delle immagini più forti della crisi spagnola è l'infinita protesta dei minatori della regione delle Asturias, nel nord del Paese, che chiedono al ministro Soria di rispettare il patto tra Governo e sindacati che prevede aiuti per tutto il 2012 per il settore minerario, per arrivare ad una progressiva chiusura delle miniere entro non prima del 2018. I tagli operati a causa della crisi invece porterebbero ad una chiusura di fatto immediata delle strutture, creando ulteriore disoccupazione peraltro in una zona non tra le più ricche nella penisola.

Possibili punti di forza su cui far leva per la ripresa: esportazione e innovazione

Di fronte a questo quadro quasi catastrofico della situazione, c'è comunque un rovescio della medaglia positivo: il settore finanziario iberico si è dimostrato relativamente solido nella crisi dei subprime (che mise invece in ginocchio gli USA) e, oltre a questo, numerose aziende sono riuscite ad espandersi notevolmente in America Latina, Cina e India. In generale, la crescita dell'esportazione verso Paesi in crescita economica ha portato nuovi introiti e compensato l'aumento a livello mondiale dei prezzi di carburanti ed energia che tendono a limitare i commerci.

Inoltre, l'innovazione in varie aree (energie rinnovabili, hi-tech, biotecnologie, farmaceutica) ha raggiunto in Spagna ottimi livelli di sviluppo e può essere uno dei punti chiave su cui fare leva per una rinascita che sia basata su qualcosa di più concreto e solido rispetto agli investimenti edilizi gonfiati artificiosamente e che hanno giocato un ruolo di primaria importanza per spingere il Paese verso la recessione.


 

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