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Sebbene parlando di Rinascimento venga subito in mente l'Italia (specie a noi italiani, ma in generale…), Firenze in particolare, anche la Spagna ha avuto il suo Rinascimento (pur condizionato dalle novità italiane) nel pieno fiorire del già nominato stile plateresco. Una delle personalità più degne di nota del Cinquecento spagnolo fu Diego de Siloé, scultore ed architetto la cui formazione avvenne con ogni probabilità a Napoli. Se le sue prime opere, ad esempio l'Escalera Dorada realizzata per la Cattedrale di Burgos  tra 1519 e 1526, sono esempi di stile plateresco, la cattedrale di Granada, di cui diresse i cantieri dal 1528, è già una bella mescolanza di elementi gotici e rinascimentali.

Il palazzo di Carlo V a Granada (1527), progettato da Pedro Machuca, è un esempio ancor più efficace di stile rinascimentale. Caratteristica più particolare del palazzo è sicuramente il cortile circolare con colonnato, del diametro di circa 30 m, distribuito su due piani. Machuca è lo stesso artista che ha realizzato l'edificio cinquecentesco spagnolo più famoso, l'Escorial, vicino a Madrid, sobrio e grandioso, solenne e bellissimo, pensato come palazzo di Filippo II tra 1563 e 1584 e poi riprogettato come monastero e mausoleo reale da Juan Bautista de Toledo.

 

Quest'ultimo architetto ideò la pianta dell'edificio ispirandosi alla griglia di ferro su cui morì il Martire Lorenzo a cui il monastero è dedicato. Nel 1567, a causa della morte dell'architetto, il lavoro fu proseguito da Juan de Herrera.
La purezza geometrica dell'Escorial, interamente costruito in un bellissimo granito grigio, fu un esempio per due generazioni almeno di architetti spagnoli; lo stile severo di Herrera, detto estilo desornamentado, ossia “disadorno”, divenne il linguaggio ufficiale dell'arte di corte tra ‘500 e ‘600 in Spagna. Herrera pensava, come gli architetti-umanisti italiani, da Brunelleschi, ad Alberti, per arrivare poi a Leonardo, Bramante ecc… che l'architetto dovesse essere un teorico, un intellettuale, un progettista più che un costruttore.


In scultura, invece, il più grande fu sicuramente Alonso Berruguete, che nel Cinquecento si distinse in Spagna sia come pittore che come scultore di pale d'altare, anche dette “retablos”, pezzi unici che mischiavano sapientemente pittura, scultura ed architettura in un tutto armonico in cui si cimentò anche il greco Theotokopoulos, meglio noto come El Greco. Berruguete fu attivo soprattutto a Toledo dopo un determinante viaggio in Italia, in cui imparò ad amare fortemente l'arte intensa e drammatica di Michelangelo Buonarroti, artista completo, come lui. Il sopraggiungere in Spagna dell'italico stile manierista fu favorito sicuramente dal completamento dei lavori all'Escorial.


Ma veniamo alla pittura, l'arte che forse più di tutte rende l'idea del passaggio da uno stile ad un altro. Fu solo ai primi del XVI secolo che in Spagna cominciò a diffondersi il gusto italiano. Leonardo in particolare influenzò l'arte di Fernando Yáñez, suo allievo a Firenze nel 1505 ed attivo a Valencia dall'anno successivo. Ma fu un fatto storico, ossia il regno di Filippo II, a dare un apporto decisivo alla pittura locale, poiché il re amava le arti, la pittura in particolare, e la sua committenza cominciò a far concorrenza a quella ecclesiastica. Numerosi artisti italiani furono chiamati a lavorare per l'Escorial, decorandolo con affreschi e pale d'altare. Molti giovani pittori spagnoli poterono così venire a conoscenza delle nuove tendenze manieriste in pittura. Filippo II avrebbe voluto a corte Tiziano, ma non ci riuscì, anche se le sue opere, importate in gran numero a corte, influenzarono non poco il gusto e le stile dei pittori spagnoli del tempo e dei tempi a venire, non ultimo il grande Velazquez nel ‘600. Tra i pittori stranieri attivi in Spagna sotto Filippo II particolarmente degno di menzione il ritrattista olandese Anthonis Moor, che col suo stile forte e austero, sul modello di Tiziano, decise le basi sulle quali si sarebbe basata la ritrattistica di corte fino al ‘600. La pittura spagnola fino ad ora era stata principalmente sacra; la ritrattistica segnò l'inizio della sua secolarizzazione.


Parlando della pittura in Spagna nel ‘500-‘600 non si può non citare il grande El Greco, dai colori accesi e dalle linee spezzate, dai soggetti intensi e emozionanti, dunque già manierista per molti aspetti, ben in linea con il gusto dominante degli ambienti ecclesiastici e non della committenza spagnola, anche se il re non lo apprezzò come meritava. El Greco creò tuttavia una serie di bellissime pale d'altare per varie chiese della città di Toledo. Lo stile di El Greco, intenso e suggestivo, era perfetto per trasmettere i messaggi della Controriforma. Di fronte alla minaccia protestante, la Chiesa Cattolica, la Spagna in prima linea, cercò di rinforzare la fede e riformare le pratiche. La Spagna per prima mise le sue grandi risorse al servizio della chiesa, e Toledo, sede dell'arcivescovo, giocò per questo un ruolo attivo. Il Concilio di Trento (1545) chiarì le finalità della Controriforma, dando ufficialmente un ruolo di grande importanza all'arte religiosa, strumento di propaganda della fede. El Greco, i cui committenti erano per lo più uomini di chiesa di grande dottrina, rispose all'appello con rappresentazioni espressive ed intelligenti del credo cattolico. La sua produzione sottolineò con immagini potenti l'importanza dei sacramenti, della Vergine e dei Santi.
el grecoIl particolare qui a sinistra appartiene all'opera “La sepoltura del Conte di Orgaz”. Viene dalla Chiesa di Santo Tomé, a Toledo. E' un olio su tela datato 1578. Le dimensioni sono 4,80x3,60 metri. La parrocchia di San Tommaso (Santo Tomé) in Toledo, antica città imperiale e, per questo, residenza del pittore cretese El Greco, custodisce la straordinaria tela.

La sepoltura del Conte di Orgaz parla della morte come nascita al cielo della vita umana. Il pittore ha rappresentato questo passaggio come l'attraversamento di un "utero spirituale" per arrivare al cospetto di Cristo, nella comunione di tutti i santi. Al centro della tela sta l'anima, un feto che viene spinto in questo passaggio, per giungere alla fine in Paradiso.

La tradizione toledana vuole che S. Stefano e S. Agostino siano apparsi al momento delle esequie del Signore di Orgaz per accompagnare la sua sepoltura; questo soggetto diventa motivo per esprimere il concetto della fede nella comunione dei santi e nella Chiesa terrena che accompagna la vita, per giungere, infine, al cospetto di Dio e della Chiesa celeste. Un'unica Chiesa, composta dai credenti in terra e dai santi del cielo, si dispone nell'opera su due piani. I viventi in terra che partecipano al funerale del Conte di Orgaz, nel registro inferiore, ed i Santi che lo presentano a Cristo in Paradiso, nel registro superiore, sono in realtà due parti di un unico popolo.
Ci troviamo davanti ad una delle opere più belle mai create dallo spirito e dall'estro umano. Attraverso la bellezza si arriva alla contemplazione della verità più profonda dell'uomo. Nella parte inferiore, la sezione centrale è occupata dal cadavere del Signore di Orgaz, che sta per essere deposto nel suo sepolcro. Per una occasione così solenne, sono scesi i santi del cielo: S. Agostino e S. Stefano, primo martire di Cristo. A questa sepoltura tanto nobile assistono anacronisticamente il parroco che commissionò il quadro, che legge il rituale dei funerali, e alcuni chierici. Poi, di fronte, un frate francescano, uno agostiniano e un frate domenicano o trinitario. Nella fila centrale, una serie di personaggi contemporanei del Greco, e lui stesso, che ci guarda invitandoci ad entrare nel mistero che ha rappresentato, come ci esorta a fare il bambino, suo figlio, indicando il personaggio centrale. Tra il cielo e la terra, il vincolo di unione è l'anima immortale del Signore di Orgaz, un feto portato al cielo da un angelo, attraverso una specie di utero materno che lo darà alla luce eterna del cielo. La morte appare così come una nascita nuova. Transito doloroso, ma pieno di speranza.

Nella parte superiore, il pittore descrive il cielo. Al centro, Gesù, vestito di bianco, luminoso, siede in trono come giudice dei vivi e dei morti. La sua mano destra invita Pietro, capo della Chiesa, ad aprire le porte del cielo all'anima del defunto. Maria accoglie maternamente l'anima che giunge: ella intercede presso suo Figlio ed è madre di tutti gli uomini. In questa nascita alla vita eterna, Dio ha affidato a Maria, volto materno di Dio, il compito di madre. A destra appare il gruppo dei santi che vivono nella felicità eterna uniti a Gesù Cristo, che li ha redenti. Giovanni Battista, Paolo, evangelizzatore dei gentili e Giacomo Maggiore, patrono di Spagna. Poi S. Tommaso, patrono di questa Parrocchia. Tra gli altri personaggi si scorge anche re Filippo II. Sono attratti alla contemplazione della scena i personaggi principali dell'Antico Testamento: il re Davide con la sua arpa, Mosè con le tavole della legge, Noè con l'arca da lui costruita. Nel lato opposto, i personaggi che godono della devozione popolare cristiana, come S. Maria Maddalena, peccatrice convertita dalla predicazione di Gesù e S. Sebastiano, martire cristiano delle persecuzioni romane. L'insieme del quadro invita alla contemplazione di una verità che ci viene comunicata: siamo membri della famiglia dei santi e dobbiamo vivere santamente il nostro cammino in questa vita.

El Greco ha voluto trasmetterci in questo capolavoro un messaggio di speranza, la speranza che scaturisce dalla buona notizia di Gesù Cristo, Signore della vita e della storia.


Nella straordinaria opera che abbiamo fin troppo dettagliatamente descritto si raggiunge una delle vette assolute della pittura tardo-rinascimentale, superando alcune limitazioni di spazio e prospettiva alle quali era sottomessa la produzione anteriore dell'artista cretese.

E' un'opera ricca, piena, scintillante, ma al tempo stesso chiara, didascalica, funzionale alla trasmissione razionale di un contenuto. Emozione e logica si fondono mirabilmente, originando un tutto perfetto, concluso, coerente. Ma se parliamo solo di tecnica, direi che questo quadro fa male agli occhi per quanto è bello: mille cromie, luci e ombre che danzano rubandosi reciprocamente la scena, personaggi tratteggiati conlinee mobilissime, vestiti di abiti dalla fattura realistica, ma al tempo stesso sognati, vagheggiati, come in un veritiero sogno rivelatore.

Dopo questo lavoro, lo stile del Greco si andò progressivamente definendo come una proposta originale ed intensa che darà alla luce opere singolarissime, nelle quali i più hanno riconosciuto prospettive e modelli assolutamente originali, personali.


Sicuramente El Greco fu uno dei pittori del Cinquecento che aprirono la strada alle sperimentazioni barocche nella pittura spagnola, in cui la religione continuò a essere il tema centrale, anche se affiancata da un numero sempre maggiore di soggetti: dipinti storici e mitologici, nature morte, soggetti realistici presi dalla vita quotidiana, ambito in cui la pittura spagnola sviluppò una tradizione molto importante.

Tra i numerosi artisti dell'epoca vanno ricordati De Ribera, Murillo, Zurbaran, Diego Velázquez … malgrado le differenze tra le loro opere, il lavoro di questi artisti ha come denominatore comune il fatto di avere recepito la rivoluzione naturalistica di Caravaggio. Tutti operarono durante il periodo della Controriforma, che in campo artistico aveva elaborato precetti rigidissimi finalizzati alla regolamentazione della pittura: bisognava produrre opere chiare, didascaliche, per aiutare i fedeli nel culto ed indurli ad adorare ed amare Dio, nonché a coltivare la pietà. Chi non rispettava le regole doveva render conto all'Inquisizione, durissimo tribunale religioso che metteva bocca praticamente su tutto. L'arte ne fu fortemente limitata o comunque orientata, se così si può minimizzare. Parleremo adesso di Diego Velasquez e del ‘600.

 

Laura Panarese


 

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